USA: in 5 anni i salari crescono più che in Italia in 30 anni! Economia inchiodata

Negli ultimi anni, il divario economico tra Italia e Stati Uniti si è fatto sempre più evidente, e i numeri parlano chiaro: in soli cinque anni, i salari americani hanno registrato una crescita reale che supera quella italiana degli ultimi tre decenni. Un confronto che mette in luce non solo la vitalità del mercato del lavoro statunitense, ma anche la cronica stagnazione salariale che affligge l’Italia, con implicazioni profonde per lavoratori, aziende e competitività nazionale.

FINANZA

7/25/20253 min read

Un abisso salariale: i dati

Secondo i dati OCSE e INAPP, tra il 1991 e il 2022 i salari reali italiani – cioè il potere d’acquisto al netto dell’inflazione – sono cresciuti di un misero 1%. In termini concreti, un lavoratore medio italiano guadagnava nel 1991 circa 36.800 dollari (a parità di potere d’acquisto, PPA), mentre nel 2022 la cifra si attestava a 37.200 dollari: appena 400 dollari in più in 30 anni. Nel frattempo, l’inflazione, culminata con un picco dell’8,1% nel 2022, ha eroso il potere d’acquisto, portando a una perdita reale del 6,9% rispetto al 2019. Oggi, la retribuzione media lorda annua si aggira sui 30.284 euro, ma il netto mensile per un giovane sotto i 30 anni è spesso inferiore a 1.634 euro.

Negli Stati Uniti, invece, il quadro è radicalmente diverso. Tra il 2019 e il 2024, i salari reali sono aumentati del 3-5%, pari a un incremento di circa 1.900-3.150 dollari per il salario medio annuo, passato da 63.000 a circa 65.900-68.150 dollari (PPA). Solo nel 2024, la paga settimanale mediana è cresciuta del 4,1%, raggiungendo 1.200,50 dollari, equivalenti a circa 62.400 dollari annui. In un arco di cinque anni, gli Stati Uniti hanno generato una crescita salariale reale che è 3-5 volte superiore a quella italiana in trent’anni.

Perché l’Italia resta indietro?

Le ragioni della stagnazione italiana sono molteplici. La produttività, un motore chiave della crescita salariale, è cresciuta di appena lo 0,5% tra il 2014 e il 2020, contro una media OCSE del 5%. La contrattazione collettiva, spesso rigida e scollegata dai risultati aziendali, non è riuscita a tradurre la crescita economica – per quanto modesta – in aumenti concreti per i lavoratori. A questo si aggiunge un cuneo fiscale del 46%, tra i più alti in Europa, che riduce significativamente il netto in busta paga rispetto al lordo. Infine, la precarietà lavorativa, con il 21,7% dei contratti a termine nel 2014, limita le prospettive di crescita per i giovani.

Negli Stati Uniti, invece, il mercato del lavoro è più dinamico. La flessibilità contrattuale permette alle aziende di adeguare rapidamente i salari alla domanda di mercato, mentre l’aumento del salario minimo in stati come la California (fino a 18 dollari l’ora) ha spinto verso l’alto le retribuzioni. La produttività americana, sostenuta da innovazione e investimenti, continua a trainare la crescita economica, con un PIL pro capite quasi doppio rispetto a quello italiano. Inoltre, un cuneo fiscale più leggero (circa 33%) lascia ai lavoratori americani una fetta maggiore del loro salario.

Le conseguenze: un’Italia in svantaggio

Questo divario salariale ha ripercussioni tangibili. In Italia, la stagnazione spinge i giovani talenti a cercare opportunità all’estero, alimentando la cosiddetta “fuga di cervelli”. Settori come la tecnologia, dove uno sviluppatore negli Stati Uniti può guadagnare oltre 100.000 dollari l’anno contro i 30.000-40.000 euro in Italia, sono emblematici di questa disparità. Ma non è solo una questione di numeri: la perdita di potere d’acquisto erode la fiducia dei lavoratori italiani, mentre l’incapacità di attrarre o trattenere professionisti qualificati rischia di indebolire ulteriormente la competitività del Paese.

Negli Stati Uniti, invece, la crescita salariale sostiene i consumi e alimenta l’economia, anche se non senza criticità. Il costo della vita in città come New York o San Francisco è elevatissimo, e l’assenza di tutele come la sanità pubblica gratuita può pesare sui lavoratori. Tuttavia, la possibilità di negoziare salari più alti e di accedere a opportunità in settori innovativi rende gli USA una meta ambita.

Un futuro possibile?

Per colmare il divario, l’Italia dovrebbe affrontare sfide strutturali: aumentare la produttività attraverso investimenti in innovazione, ridurre il cuneo fiscale per lasciare più soldi in tasca ai lavoratori e riformare la contrattazione collettiva per legare i salari ai risultati. Nel frattempo, l’Italia offre ancora vantaggi non trascurabili: una sanità pubblica gratuita, ferie garantite e una qualità della vita che, in molte città, resta invidiabile rispetto agli Stati Uniti.Il confronto tra i salari americani e quelli italiani è un campanello d’allarme. In cinque anni, gli Stati Uniti hanno fatto più strada di quanta l’Italia ne abbia percorsa in trent’anni. Senza interventi concreti, il rischio è che l’Italia resti inchiodata, mentre il mondo del lavoro globale corre sempre più veloce.