Un abisso salariale: i dati
Secondo i dati OCSE e INAPP, tra il 1991 e il 2022 i salari reali italiani – cioè il potere d’acquisto al netto dell’inflazione – sono cresciuti di un misero 1%. In termini concreti, un lavoratore medio italiano guadagnava nel 1991 circa 36.800 dollari (a parità di potere d’acquisto, PPA), mentre nel 2022 la cifra si attestava a 37.200 dollari: appena 400 dollari in più in 30 anni. Nel frattempo, l’inflazione, culminata con un picco dell’8,1% nel 2022, ha eroso il potere d’acquisto, portando a una perdita reale del 6,9% rispetto al 2019. Oggi, la retribuzione media lorda annua si aggira sui 30.284 euro, ma il netto mensile per un giovane sotto i 30 anni è spesso inferiore a 1.634 euro.
Negli Stati Uniti, invece, il quadro è radicalmente diverso. Tra il 2019 e il 2024, i salari reali sono aumentati del 3-5%, pari a un incremento di circa 1.900-3.150 dollari per il salario medio annuo, passato da 63.000 a circa 65.900-68.150 dollari (PPA). Solo nel 2024, la paga settimanale mediana è cresciuta del 4,1%, raggiungendo 1.200,50 dollari, equivalenti a circa 62.400 dollari annui. In un arco di cinque anni, gli Stati Uniti hanno generato una crescita salariale reale che è 3-5 volte superiore a quella italiana in trent’anni.
Perché l’Italia resta indietro?
Le ragioni della stagnazione italiana sono molteplici. La produttività, un motore chiave della crescita salariale, è cresciuta di appena lo 0,5% tra il 2014 e il 2020, contro una media OCSE del 5%. La contrattazione collettiva, spesso rigida e scollegata dai risultati aziendali, non è riuscita a tradurre la crescita economica – per quanto modesta – in aumenti concreti per i lavoratori. A questo si aggiunge un cuneo fiscale del 46%, tra i più alti in Europa, che riduce significativamente il netto in busta paga rispetto al lordo. Infine, la precarietà lavorativa, con il 21,7% dei contratti a termine nel 2014, limita le prospettive di crescita per i giovani.
Negli Stati Uniti, invece, il mercato del lavoro è più dinamico. La flessibilità contrattuale permette alle aziende di adeguare rapidamente i salari alla domanda di mercato, mentre l’aumento del salario minimo in stati come la California (fino a 18 dollari l’ora) ha spinto verso l’alto le retribuzioni. La produttività americana, sostenuta da innovazione e investimenti, continua a trainare la crescita economica, con un PIL pro capite quasi doppio rispetto a quello italiano. Inoltre, un cuneo fiscale più leggero (circa 33%) lascia ai lavoratori americani una fetta maggiore del loro salario.
Le conseguenze: un’Italia in svantaggio
Questo divario salariale ha ripercussioni tangibili. In Italia, la stagnazione spinge i giovani talenti a cercare opportunità all’estero, alimentando la cosiddetta “fuga di cervelli”. Settori come la tecnologia, dove uno sviluppatore negli Stati Uniti può guadagnare oltre 100.000 dollari l’anno contro i 30.000-40.000 euro in Italia, sono emblematici di questa disparità. Ma non è solo una questione di numeri: la perdita di potere d’acquisto erode la fiducia dei lavoratori italiani, mentre l’incapacità di attrarre o trattenere professionisti qualificati rischia di indebolire ulteriormente la competitività del Paese.
Negli Stati Uniti, invece, la crescita salariale sostiene i consumi e alimenta l’economia, anche se non senza criticità. Il costo della vita in città come New York o San Francisco è elevatissimo, e l’assenza di tutele come la sanità pubblica gratuita può pesare sui lavoratori. Tuttavia, la possibilità di negoziare salari più alti e di accedere a opportunità in settori innovativi rende gli USA una meta ambita.
Un futuro possibile?
Per colmare il divario, l’Italia dovrebbe affrontare sfide strutturali: aumentare la produttività attraverso investimenti in innovazione, ridurre il cuneo fiscale per lasciare più soldi in tasca ai lavoratori e riformare la contrattazione collettiva per legare i salari ai risultati. Nel frattempo, l’Italia offre ancora vantaggi non trascurabili: una sanità pubblica gratuita, ferie garantite e una qualità della vita che, in molte città, resta invidiabile rispetto agli Stati Uniti.Il confronto tra i salari americani e quelli italiani è un campanello d’allarme. In cinque anni, gli Stati Uniti hanno fatto più strada di quanta l’Italia ne abbia percorsa in trent’anni. Senza interventi concreti, il rischio è che l’Italia resti inchiodata, mentre il mondo del lavoro globale corre sempre più veloce.